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Nel paesaggio. Il progetto per la città negli ultimi venti anni - Review
by Daniela Ruggieri
Da alcuni anni è possibile  riconosce una presenza dilagante del   termine paesaggio. Si è travolti da  un diluvio di letteratura e di  progetti che nascono e trovano legittimazione  entro questa nozione,  quale "affermazione consolatoria del buon equilibrio naturale". Oggi è necessario assumere  un punto di vista critico e interrogarsi sull’utilità  di questo concetto e sulle ragioni di un  tale successo. Così come è nel testo 'Nel paesaggio'. Cosa aggiunge il  paesaggio alla comprensione  dell’abitare contemporaneo? Qual è il suo  contributo alle riflessioni sul  rapporto spazio-società? 
 Nel tentativo di dare  risposta ad alcuni dubbi e domande  su questo tema,  Sampieri organizza la sua riflessione critica a partire  da due mosse che gli  consentono di governare un campo d’indagine vasto  e dai confini sfumati.  Riconoscendo, a metà degli anni Ottanta, una  soglia, un momento di cambiamento  nel progetto dello spazio aperto,  definisce una periodizzazione che considera gli ultimi venti anni come arco temporale di riferimento:  una stagione  tutt’altro che esaurita, ma che si presta ormai ad una  riflessione critica. Una  seconda mossa è stata quella di fare  riferimento ad un discorso sul paesaggio:  introdurre un costrutto per indicare la letteratura e le esperienze progettuali europee e nord-americane degli ultimi venti anni. 
 
 Nonostante il paesaggio sia  da sempre un’entità difficile  da descrivere, che sfugge ad una definizione  univoca, si tratta di un  elemento di una forza straordinaria, che è stato  capace, nell’ultimo  ventennio di ridefinire campi d’azione, profili  professionali,  indirizzi di ricerca, producendo sovente ibridi  trans-disciplinari  difficili da maneggiare. Aspetti cruciali del dibattito, ragioni del   successo e i risvolti ambigui che stanno alla spalle di tale fortuna,  sono  affrontati da Sampieri attraverso la messa a fuoco di cinque questioni affrontate in diverse parti del testo - slittamenti, comunicazione, olismo,  umanesimo, sospensione - che  permettono all’autore di sostenere la sua ipotesi di fondo: "quella che   sostiene come con il paesaggio si  inauguri una stagione di quiete". Il  paesaggio diventa lo strumento  attraverso il quale far fronte alla  complessità della città contemporanea,  ritrovando in categorie  apparentemente desuete, come organicismo, olismo,  culturalismo, nuove  forme di legittimazione dell’azione.
 La forza del  paesaggio sta nella capacità di gestire l’eterogeneità attraverso una sorta di  nebulosa avvolgente, capace di rendere  inoffensiva la pluralità, di espungere  il conflitto. Entro il paesaggio  ognuno trova il suo posto. Progettisti ed  abitanti, si trovano  collocati entro il medesimo sfondo ('Slittamenti'). La capacità comunicativa del  paesaggio è garante di ampio consenso. Permette di parlare ad un  pubblico  vasto. Può sembrare paradossale che ad un concetto così  ambiguo si attribuisca  la capacità di ridefinire immaginari sociali.  "Continuare a parlarne non aiuta  a precisarla". Ma forse è proprio a  questo carattere opaco che è da ricondurne  l'efficacia  ('Comunicazione'). Il paesaggio riscrive la relazione tra  spazio e  società, prendendo le distanze dalla posizione del progetto moderno. Si è  avuto un ritorno  di categorie anti-illuministe che pongono al centro  l’uomo. Si è tornato a  parlare di comunità in una chiave vernacolare,  valutata da tempo come  inadeguata a descrivere la complessità della  società contemporanea.  Si allude a forme del vivere comunitario capaci  di instaurare  un legame culturale con il territorio attraverso il  paesaggio. Torna ad essere  importante il senso di appartenenza al  luogo, la necessità, quasi ossessiva, di  riconoscere identità. Emerge  una visione organica della società contemporanea,  multiculturalista ed  eterogenea. Con il paesaggio si allude ad una concezione  spaziale  avvolgente. Alla frantumazione della città contemporanea risponde con   una sensazione di omogeneità ('Olismo' e  'Umanesimo'). 
 Entro questo ritorno all’organicismo, è la natura che   viene messa al centro e il progettista si pone in una posizione  conciliante. Il  progetto si allontana sempre più dall’architettura,  intesa nel senso del progetto moderno,  riformulandosi attorno  all’obiettivo di mettere a punto un miglior  funzionamento dello spazio  attraverso evoluzioni naturali, processi ecologici.  Un progetto mai  pensato per lasciare un segno indelebile. Quando si ha a che  fare con  il paesaggio ogni azione è legata all’idea acquietante di processo, di   evoluzione. La forma del  territorio sembra dissolversi entro programmi e  previsioni ottimistiche ('Sospensione').
 
 In un momento, come quello  attuale, di difficoltà del   progetto della città contemporanea, il paesaggio ha permesso di  affrontare  alcune questioni cruciali, ma allo stesso tempo di eludere  qualche problema. Ora questa via che aggira, elude conflitti e problemi  sembra non essere più  sufficiente. È entro questo clima di  insoddisfazione che si colloca questo  testo e che si torna a riflettere  sul ruolo, intellettuale e tecnico del progettista, e dei  saperi ai  quali fa riferimento. Diventa importante interrogarsi su cosa possano   dire queste riflessioni e su cosa significhi oggi essere immersi nel  paesaggio, rispetto a delle  condizioni che sono cambiate e alla  necessità di ripensare il progetto  urbanistico.
Daniela Ruggeri, (1982), architetto, è dottoranda in Urbanistica presso lo IUAV di Venezia. Si occupa di temi inerenti i processi di modernizzazione della città contemporanea, con particolare attenzione all'esperienza dei paesi balcanici. Ha partecipato alla ricerca “Abitare la città contemporanea. Torino” (coordimento scientifico prof. Cristina Bianchetti) i cui risultati sono in corso di pubblicazione sul numero 94 di Asur.
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