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Le sette vite di "Spazio e Società"

Andrea Di Giovanni

Questo articolo può essere citato come:
Di Giovanni A. (2003), "Le sette vite di Spazio e Società", Planum. The Journal of Urbanism, no. 7. vol. 2/2003, pp. 1-12.


Nel fascicolo che chiude la serie storica della Rivista, intitolato Spazio e Società. Una sezione longitudinale sulla rivista, pubblicato dall'Editore Maggioli e curato da Francesco Samassa, Sara Basso conclude una interessante rassegna tematica sulla Rivista rileggendo alcuni degli editoriali in un ampio saggio dal titolo "Gli editoriali di Giancarlo De Carlo". In questo lavoro, che si apre con alcune rapide considerazioni di carattere generale sulla natura "autonoma e personale" degli editoriali, l'autrice compie un primo tentativo di riflessione comparativa facendo interagire considerazioni relative alla forma ed al contenuto della Rivista insieme ad alcuni brevi accenni che ricostruiscono un profilo biografico, intellettuale e professionale del suo direttore. Il risultato è uno spaccato significativo che presenta l'evoluzione di temi, interessi e prospettive della Rivista attraverso gli editoriali di De Carlo.
L'esposizione è sostenuta da una preliminare operazione di "periodizzazione" rispetto alla quale si organizza la ricognizione attorno alla struttura della Rivista e alla sua gestione, da un lato, ed alla individuazione dei temi prevalenti nei vari cicli di vita, dall'altro.
Le quattro fasi individuate sono significativamente distribuite in maniera non omogenea lungo l'arco dell'esistenza più che ventennale di "Spazio e Società": mentre le prime tre di avvio e definizione della struttura e dei contenuti ne coprono la prima metà (dalla nascita nel 1978 come testata autonoma sino alla fine degli anni Ottanta) restituendo con cura il lavorìo e la fatica necessari alla costruzione del progetto editoriale, l'ultima comprende i numeri degli ultimi 12 anni redatti in un clima di sostanziale stabilità della linea di riflessione e della struttura editoriale.
La chiusura della serie storica di "Spazio e Società" ci suggerisce oggi di svolgere un compito diverso e complementare, proponendo all'utente di Planum una selezione antologica di alcuni brani tratti dagli editoriali in cui Giancarlo De Carlo racconta "Spazio e Società".
Eviteremo dunque di riproporre una riflessione sugli aspetti di "Spazio e Società" che in tutti questi anni il lettore ha avuto modo di apprezzare negli editoriali del suo direttore, resi consapevoli dallo stesso De Carlo del fatto che proprio alcuni di essi sono forse (anche se solo in parte) responsabili delle alterne fortune della Rivista.
Ne ricordiamo solamente alcuni: il carattere volontaristico della contribuzione editoriale, l'apertura della stessa e lo stile coinvolgente e partecipativo, l'attenzione riservata all'attualità delle vicende mondiali come risvolto di un atteggiamento di ineludibile responsabilità civile e professionale (nella ferma convinzione della necessità di architettura e di un'urbanistica – contro la guerra – che collaborino consapevolmente e senza arroganza alla costruzione dell'ambiente), la capacità e la tenacia nel proporre e sostenere punti di vista "difficili" ed "eccentrici" – ma pertinenti alle discipline dell'architettura e dell'urbanistica – sulle vicende mondiali contemporanee, la lucida lungimiranza con cui si prefigurano sin dai primi numeri scenari che oggi ci sono contemporanei, la libertà riscontrabile nell'atteggiamento intellettuale e nella posizione culturale rispetto al panorama editoriale, il carattere ficcante e spesso spiazzante della riflessione, il taglio pluritematico e transdisciplinare, la sobrietà della composizione editoriale e dello stile letterario – fatto di testi e immagini integrati – sempre in grado di restituire pacatamente gli entusiasmi di una avventura intellettuale originale e difficile. Ripercorrendo i brani di questa breve antologia vorremmo dunque ricomporre la trama di un racconto che, attraverso alcuni episodi contenuti negli editoriali, ha costantemente aggiornato e fatto partecipe – con "fiera modestia" – chi era interessato ai successi e alle difficoltà, ai cambiamenti e alle scelte di continuità della Rivista nel corso delle sue "sette vite".

*** 

Il numero 6 del 1979 si apriva con "l'annuncio che "Spazio e Società" ha cambiato editore per la terza volta", in cui De Carlo rispondeva con modestia e con fierezza a chi sosteneva "che la rivista è fragile – e difatti lo è, economicamente – [dice De Carlo] ma si potrebbe anche osservare che, contando già tre vite, ha il vigore dei gatti che, come è noto, ne hanno sette."
("Spazio e Società", n.6/1979, p.3)

Da questo momento la metafora decarliana delle vite dei gatti, presentata per la prima volta in questa circostanza con un tocco svelto e una formulazione transitoria, non avrà il tempo di essere dimenticata dall'autore e dai lettori. La ritroveremo infatti dopo due anni, all'annuncio dell'ennesimo cambio di editore della testata. L'evento, ed i successivi che verranno, sarà accolto ed interpretato in tutta la sua drammatica durezza, ma (come nei casi successivi) con l'orgoglio ed il convincimento progettuale di chi ravvisa nella crisi l'occasione e le condizioni per il rinnovo e l'affinamento di un progetto culturale concepito e condotto con caparbia determinazione e mai appagata soddisfazione.
Forse, però, i prodromi della vicenda sono addirittura racchiusi nella genesi convulsa di "Spazio e Società" che si presentava con la nuova serie italiana nel Gennaio del 1978.

"La nostra testata ha una storia non molto lunga, ma già piuttosto intricata. E' comparsa in Italia nel giugno del 1975, come sottotitolo di "Espaces et Sociétés" – la rivista diretta da Henry Lefebvre e Anatole Kopp – e ha così intitolato due numeri, che si presentavano come raccolte di saggi estratti dalla edizione francese con l'aggiunta di qualche inserto di fattura italiana. Nel 1976 i promotori dell'iniziativa si persuadevano dell'inutilità di tradurre scritti che erano indirizzati a un pubblico del tutto capace di leggerli in originale; perciò decidevano di formare una redazione e di accettare un programma radicalmente diverso da quello iniziale. Dopo il cambiamento di rotta, l'intestazione della rivista si invertiva e "Spazio e Società" diventava testata mentre "Espaces et Sociétés" passava a sottotitolo: tanto sfumato sullo sfondo del frontespizio quanto indiretta era la consonanza di ideologia e di interessi della redazione italiana con quella francese. Sotto la nuova intestazione uscivano altri due numeri, tra molti stenti editoriali che finivano col diventare ostacoli insormontabili. Perciò, al principio del 1977, si decideva di sospendere la pubblicazione e ora, dopo un anno dedicato alla messa a punto di una struttura organizzativa attendibile, si comincia da capo con una nuova serie che riparte dal n.1. Da ora in poi la testata diventa "Spazio e Società", senza più sottotitoli che ormai non avrebbero alcuna ragione. (...) La redazione, riorganizzata, si appoggia a una Casa Editrice sperimentata e di punta che offre garanzie di far durare la rivista a lungo e di assicurarle continuità, puntualità, diffusione, capacità di far fronte agli impegni che contrae col suo pubblico. (...) [In ogni caso] la Rivista seguirà lo stesso percorso oscillante, itinerante, inclusivo, attraverso i quali passano i progetti di architettura autentici. Perciò, (...) non resta che rimandare il giudizio al modo in cui la Rivista comincia a consistere in forme rivelatrici della sua sostanza."
(n.1/1978, pp.3-8)

Occorrerà tuttavia attendere qualche tempo per poter formulare un giudizio sulla "sostanza" di "Spazio e Società", essendo i primi anni della vita della rivista caratterizzati da un atteggiamento sperimentale e dedicati alla progressiva definizione delle linee guida e della organizzazione della struttura della Rivista.

"Tutto è dunque cambiato nella Rivista fuorché la radice dei suoi contenuti, che è stata trapiantata nella nuova serie dai due ultimi numeri della serie precedente. Ma i contenuti è inutile dichiararli (...) perché la messa a punto di una rivista è simile all'elaborazione di un progetto architettonico e non diventa significante se non passa attraverso un percorso di oscillazioni alternate tra obiettivi e proposte."
(n.1/1978, p.4)

I primi risultati sembrano infatti incoraggianti: "già dal secondo numero si può dire che la Rivista è partita bene. E' uscita puntuale e così accadrà anche in futuro, è stata subito distribuita in modo capillare nelle librerie e nelle edicole, ha cominciato a raggiungere lettori in tutte le regioni italiane e in molti paesi stranieri. Anche la campagna di abbonamenti sembra dare buoni risultati, che si spera migliorino molto in futuro perché la Rivista si sostiene da sola e i suoi progressi, come la sua lunga durata, dipendono dal numero di lettori che sistematicamente la seguono. Perfino la stampa pare avere accolto con interesse l'uscita del primo numero; infatti molti giornali e riviste, di architettura e no, l' hanno segnalata e hanno discusso di come si colloca nella attuale scena dell'architettura. Ma più che il numero delle segnalazioni, del resto considerevole, sono interessanti gli argomenti della discussione perché convergono nel riconoscere l'esistenza di quel "vuoto" che la Rivista si propone di colmare."
(n.2/1978, p.3)

Da subito, tuttavia, agli entusiasmi si accompagnano le preoccupazioni relative al "modo di compensare la oggettiva lentezza della frequenza trimestrale e, d'altra parte di attivare contatti con un insieme sempre più ampio di collaboratori, possibilmente fuori dal "gioco" e quindi da scoprire. Il problema della leggibilità della Rivista all'estero continua a essere rilevante, soprattutto dopo aver constatato il grande interesse suscitato dal primo numero in molti paesi stranieri.(...) Si diceva all'inizio che la Rivista è partita bene e quindi si può presumere che continuerà a lungo a sviluppare il suo programma. Del percorso itinerante di questo sviluppo i lettori continueranno ad essere informati, come se si trattasse delle vicende di un progetto nel quale sono direttamente coinvolti."
(n.2/1978, p.4)

Oggi probabilmente descriveremmo l'atteggiamento di De Carlo in termini di "trasparenza", ciò che va comunque rilevato è la immediata disponibilità della rivista, sin dal suo esordio, alla creazione di un rapporto aperto con il lettore teso ad ottenere il coinvolgimento e la collaborazione attiva al progetto culturale avviato. Tuttavia, l'appello a partecipare alla vita della Rivista rimarrà in più circostanze ignorato, producendo una frustrante situazione di difficoltà che verrà apertamente e amaramente denunciata a dieci anni di distanza dai primi fiduciosi inviti: "la nostra rivista sta attraversando un periodo di crisi. Che ha motivi economici e quindi editoriali in primo luogo; ma anche di allentato sostegno da parte del nostro pubblico. Il che concretamente vuol dire non abbastanza persone che comprano in libreria o che si abbonano; ma anche – e ancora più in concreto – troppo pochi studenti di architettura, architetti, tecnici e intellettuali che si sentano coinvolti con i temi che la rivista sviluppa da dieci anni. I quali temi sono nella stragrande maggioranza indipendenti, disinteressati e non celebrativi. Se "Spazio e Società" non dovesse farcela a sopravvivere, sarà per causa di distrazione e non solo nei suoi confronti ma purtroppo del mondo intero."
(n.45/1989, p.4)

Il richiamo, non solo ad alimentare ma anche a diffondere la Rivista (sono questi i due aspetti della "contribuzione" richiesta), sarà comunque ripetuto in diverse circostanze ed anche all'inizio della vicenda editoriale di "Spazio e Società" in occasione dei primi bilanci della attività della testata. In questa fase i successi ed i progressi nella definizione del ruolo e degli obiettivi della Rivista saranno affiancati dalla constatazione di alcune difficoltà economiche ed organizzative che nel corso degli anni si riveleranno persistenti, al punto tale da poter forse essere considerate oggi quasi "strutturali" per una rivista "indipendente" (come è sempre stata "Spazio e Società") fondata sulla contribuzione volontaria e prodotta in maniera "artigianale" senza sostegni esterni.

"Con questo numero – il quarto della nuova serie – si conclude il primo anno della rivista. Il bilancio culturale sembra abbastanza positivo. Una gran parte degli obiettivi iniziali sono stati messi a punto e adesso si comincia a veder chiaro quale sia il vuoto che ci si propone di colmare. (...) Il bilancio economico è invece meno soddisfacente. Le vendite dei primi tre numeri non hanno raggiunto i picchi sperati e, quanto agli abbonamenti, non sono stati così numerosi da assicurare una spensierata sopravvivenza. Molte difficoltà banali, ma determinanti: inefficienze di distribuzione, ritardi postali, sospette remore giornalistiche nell'accordarci recensioni – potranno essere superate; ma il contributo più risolutivo non può venire che dal pubblico della rivista. I lettori persuasi dell'utilità che uno strumento come "Spazio e Società" continui a lungo a operare, convinti della necessità di guardare più a fondo nello stato presente dell'architettura, favorevoli alle iniziative culturali che sono estranee al gioco del potere economico e burocratico – la maggior parte, sembra, dei nostri lettori attuali e potenziali – possono fornire un aiuto decisivo accelerando la diffusione della rivista."
(n.4/1978, p.3)

L'Editoriale, già richiamato, che apriva il numero 6 del 1979 dichiara in qualche modo la prima crisi evidente di "Spazio e Società" segnata dal cambio dell'editore Mazzotta a cui subentra la casa editrice Sansoni. E' a questo punto che prende avvio la terza vita di "Spazio e Società". Il primo cambiamento di editore (ma sarà così anche per i successivi) è vissuto con intensità, come lascia intendere la metafora non banale delle molteplici vite dei gatti che sembra sottendere una preoccupazione per la vicenda evolutiva della Rivista in termini quasi esistenziali, come risulta in parte anche dalle parole di De Carlo.

"Il travaglio è durato a lungo, tanto da provocare lo slittamento di un numero nella cadenza trimestrale prevista. Il tempo, però, non è stato sprecato perché è stato dedicato a capire le sregolatezze della macchina editoriale e, soprattutto, a proteggere la rivista – vaso di coccio – dagli spintoni di quei vasi di ferro che sono i bilanci. Alla fine, "Spazio e Società" si è salvata; perciò ora, finalmente con calma, si possono esprimere i riconoscimenti. Ringraziamo l'editore Mazzotta per averci dato la possibilità di stampare cinque numeri, che sono stati fondamentali per la rivista, perché le hanno consentito di configurarsi in modo così preciso da non dover cambiare nulla nell'impostazione dei che seguiranno. Ci congratuliamo anche con l'editore Sansoni per aver dato fiducia al nostro programma culturale e per avergli accordato le risorse economiche e tecniche necessarie a svilupparlo ulteriormente. Adesso la sopravvivenza della rivista è assicurata almeno per due anni. Perciò si è finalmente liberi dal dubbio che ogni numero in corso di pubblicazione possa non essere seguito dal numero successivo già pronto; si è più tranquilli verso i collaboratori che ci concedono i loro materiali senza alcun compenso, perché è possibile garantire loro una pubblicazione puntuale, esauriente e rigorosamente selezionata; non ci si sente più imbarazzati nei confronti dei lettori che hanno sostenuto la rivista sottoscrivendo abbonamenti, perché possiamo assicurare che riceveranno tutti i numeri ai quali hanno diritto. Cosa succederà tra due anni è davvero difficile dirlo. Soprattutto se si pensa alle difficoltà in cui si trovano oggi le pubblicazioni indipendenti che non sono sorte né per dare sbocco a investimenti pubblicitari già predisposti, né per aprire brecce all'egemonia di qualche potere politico. Si può solo dire che tra due anni saranno pubblicati altri otto numeri e, se i lettori continueranno a seguirci attivamente – a fornire partecipazione diretta al dibattito che continueremo a proporre – la rivista avrà una storia più lunga e densa. Perciò, dovesse il suo destino peripatetico ricominciare a segnarla, forse troverà facilmente energie interessate alla sua sopravvivenza, con la stessa rapidità che si è verificata in quest'ultima circostanza."
(n.6/1979, pp.3-4)

I momenti critici della Rivista saranno accompagnati da una seria attività di revisione dei contenuti e della organizzazione redazionale, esercitando quindi una autocritica costante e rigorosa.
Il problema della contribuzione alla Rivista si presenterà in più circostanze, tanto da rendere necessari interventi "di ristrutturazione sia per organizzare meglio il lavoro redazionale che per rendere più intensi i contatti con il suo pubblico italiano e europeo. Perciò da questo numero la redazione – fatta da chi se ne occupa quotidianamente – sarà affiancata da un gruppo di [nuovi] corrispondenti (...). Altri corrispondenti europei e italiani si aggiungeranno in futuro."
(n.12/1980, p.2)

Il male di cui però "Spazio e Società" soffrirà sempre sembra essere quello della insufficiente diffusione della rivista; nonostante i cambi di editore ""Spazio e Società" non è diffusa abbastanza e in molte città non se ne trova traccia. I numeri in abbonamento arrivano in ritardo e qualche volta non arrivano affatto. Invece il potenziale di diffusione è molto alto e lo si può dimostrare dall'interesse dimostrato da coloro che la leggono. Bisogna dunque sollecitare la casa editrice a migliorare la distribuzione e, allo stesso tempo, promuovere una serie di incontri nelle facoltà di Architettura e nelle librerie delle varie città per far conoscere la rivista e diffonderla meglio."
(n.14/1981, p.5)

Le difficoltà economiche, inoltre, rappresenteranno l'ennesimo pesante condizionamento alla produzione della rivista che, tuttavia, coerentemente con i propri assunti iniziali, rimarrà "indipendente" e per questo priva di sovvenzioni. La riunione dei collaboratori di "Spazio e Società" tenutasi nel giugno del 1981 rappresenterà l'occasione per presentare e discutere questa, insieme alle altre difficoltà ricordate che ostacolano il percorso della Rivista.

"Il fatto che la redazione disponga di solo tre milioni e mezzo di lire per preparare ogni numero – dalla raccolta dei materiali alle traduzioni, all'editing, alla messa in pagina, al seguire la stampa dalla correzione delle bozze fino alla rilegatura dei fascicoli – è stato giudicato un limite troppo severo perché non se ne tenga conto. Bisogna rinunciare non solo, a ogni tipo di servizio speciale, ma perfino a una redazione commisurata al lavoro da svolgere. Perciò si deve soprattutto contare sull'interesse dei collaboratori a pubblicare una rivista che è diversa dalle altre. Ma per suscitare e accrescere questo interesse bisogna che "Spazio e Società" diventi sempre più rigorosa e interessante."
(n.14/1981, p.5)

L'atteggiamento sempre attivo e mai arrendevole della Rivista le consentirà di affrontare le diverse traversie rilanciando sempre il gioco ed alzando la posta costituita dagli obiettivi prefissati in ogni fase, come risulta evidente anche nel successivo e importante cambiamento annunciato all'inizio degli anni Ottanta: "dal prossimo numero la Rivista cambierà ancora una volta: comincerà la quarta delle sette vite che avevamo promesso. Sarà patrocinata da una nuova combinazione editoriale, si aprirà a un'area di collaborazioni più ampia, diventerà interamente bilingue, sarà distribuita in aree che finora non aveva raggiunto."
(n.15-16/1981, p.2)

"Spazio e società" sarà da ora in poi, e almeno per i dodici numeri dei prossimi tre anni, pubblicato dalla Sansoni Editore Nuova di Firenze e dal MIT-Press di Cambridge USA, secondo un accordo discusso a lungo e finalmente concluso. L'accordo prevede che la rivista sia interamente bilingue (italiano e inglese a fronte), e infatti da questo numero lo è; che una redazione a Cambridge rediga ogni anno uno dei quattro numeri, e per quest'anno sarà il prossimo; che l'area di distribuzione del MIT-Press comprenda i paesi di lingua inglese, più il Giappone e la Scandinavia, mentre gli altri paesi restano nell'area della Sansoni Editore Nuova. (...) Per fare fronte alle esigenze della nuova formula abbiamo cambiato formato. Un poco ce ne dispiace perché pensavamo di aver vinto la scommessa di fare una rivista di architettura densa e compatta, senza il consueto spreco di superfici bianche, e tuttavia ariosa e ben leggibile in ciascuna delle sue parti. Ma la presenza del testo bilingue a fronte, la necessità di contrastare l'inclinazione dei librai a mettere sotto banco le pubblicazioni di piccolo taglio, il piacere di offrire la soddisfazione della pagina grande a chi ci concede pubblicità ecc...., ci hanno indotto ad allargarci."
(n.17/1982, p.4)

Ancora una volta, però, il cambiamento editoriale rappresenta l'occasione per il bilancio della attività della Rivista, gli scopi della verifica sono relativi soprattutto alla valutazione della coerenza del progetto rispetto alle condizioni attuali.

"Si diceva nell'Editoriale del n.1 che, come accade nei progetti di architettura autentici, avremmo seguito un percorso itinerante e inclusivo. Dopo quattro anni, riguardando i sedici numeri che sono usciti, ci sembra che proprio così sia accaduto. Non abbiamo seguito una "linea" precostituita e invece, lanciando sonde in varie direzioni dalle basi dei nostri assunti, abbiamo cercato di definire un "campo" corrispondente alla complessità della questione architettonica contemporanea."
(n.17/1982, p.5)

"Il primo numero di "Space and Society" a cura della redazione Usa (...) è però il diciottesimo numero di una rivista già esistente, "Spazio e Società", che entra in un nuovo stadio della sua evoluzione divenendo interamente bilingue ed estendendo la sua base oltre l'Atlantico verso una nuova comunità dell'architettura. (...) [La nuova redazione americana ha] quindi la fortuna di trovar[si] a un inizio ma su una strada già tracciata: di poter approfondire temi più specificamente americani entro un sistema prospettico già delineato."
(n.18/1982, p.5)

Questo dunque il senso della nuova e breve collaborazione con il MIT-Press, destinata a concludersi di lì a due anni per cause estranee alla volontà di "Spazio e Società" generando l'ennesimo scossone nella vita della testata.

"Con questo numero si conclude la quarta vita della nostra rivista e col prossimo comincerà la sua quinta. E' stato fatto dunque un altro passo avanti verso la previsione, azzardata nel giugno del 1979, che Spazio e Società di vite ne abbia sette, come i gatti di buona tempra. Anche questa volta il passaggio da una vita all'altra è conseguenza e causa di cambiamento. Cambia la combinazione editoriale perché l'MIT Press, nel ripensare alla sua convenienza di impegnarsi con riviste di architettura, alla fine ha deciso di rinunciare anche alla nostra. Ringraziamo Julian Beinart, Doreen Berenice Pienart, Antonio Di Mambro e Edward Robbins per l'intelligente collaborazione che ci hanno dato negli ultimi tre anni fornendoci i materiali per tre numeri – 18, 22, 26 – pensati e preparati per intero da loro. Ringraziamo anche la G.C. Sansoni Editore Nuova che – con coraggio, visti i tempi che corrono – ha confermato la sua fiducia nella rivista e ha deciso di continuare a pubblicarla e distribuirla, con maggiore vigore che nel passato, in tutti i paesi del mondo. (...) Non cambierà [però] l'intenzione internazionale della rivista che infatti resterà bilingue; né cambierà il suo indirizzo che continuerà a scorrere su molte linee, anche distanti ma tutte convergenti."
(n.28/1984, p.4)

I cambiamenti di cui la Rivista è stata protagonista sino a questo momento trovano riscontro anche nelle anomalie che ne hanno alterato la periodicità invece sostanzialmente regolare.

"Abbiamo sempre esitato a fare numeri doppi e infatti, da quando è cominciata la rivista, questo è solo il secondo. Il primo (15-16, settembre/dicembre 1981), precedeva un difficile cambiamento di formula editoriale; questo secondo ne segue un altro ugualmente difficile in termini di tempo per riorganizzare gli aspetti tecnici di produzione e distribuzione della rivista. Come la prima volta, anche adesso il numero doppio coincide con un rinnovamento della struttura della rivista e un arricchimento dei suoi contenuti." 
(n.31-32/1985, p.6)

In questa fase "la rivista continua il suo corso con successo e qualche fatica. Il successo lo si misura dal fatto che sempre più gente è interessata nel mondo a prendere contatto con "Spazio & Società", a dibattere le questioni che pone e a inviare per la pubblicazione scritti e materiali interessanti. La fatica deriva dalle difficoltà di rendere efficiente la distribuzione, sostenere i costi di redazione, ottenere pubblicità decorosa e penetrare attraverso lo schermo eretto dalle varie mafie architettoniche tra la rivista e i molti suoi potenziali interlocutori."
(n.31-32/1985, p.6)

Ancora una volta, pertanto, si rinnova l'appello a lettori e abbonati chiedendo loro "di intensificare la collaborazione diffondendo e utilizzando di più la rivista come acceleratore dell'inevitabile tramonto della presente architettonica obnubilazione."
(n.31-32/1985, p.6)

Di lì a poco, tuttavia, la Rivista subirà un nuovo cambiamento entrando "nella sua sesta vita, che si prevede[va] lunga e particolarmente intensa perché la più matura. E' accaduto che, passando attraverso il marasma in corso nell'editoria italiana, la C.G. Sansoni Editore Nuova abbia perso la possibilità di pubblicare la maggior parte dei suoi periodici e perciò abbia dovuto rinunciare anche a "Spazio e Società". Ci è dispiaciuto molto e, malgrado gli intoppi di diffusione che insieme ai lettori abbiamo spesso patito, ricorderemo con simpatia i cinque anni di cordiale collaborazione con l'antica e gloriosa casa editrice fiorentina. D'altra parte siamo molto contenti di poter annunciare che d'ora in poi "Spazio e Società" sarà edito dalla SAGEP di Genova: una casa editrice relativamente giovane, diretta con intelligenza, condotta in modo efficiente, particolarmente versata nella cultura architettonica, come dimostra la ricchezza del suo catalogo. Possiamo dire che questa volta la metamorfosi è stata facile e che è finito il periodo in cui i cambiamenti apparivano, oltre che stimolanti, anche un po' minacciosi. Ormai la rivista ha un ruolo preciso, quasi unico nella scena dell'architettura internazionale e può contare su una corrente di opinione diffusa che la considera necessaria e la sostiene. Infatti, fin dalle prime avvisaglie di cambiamenti possibili, le proposte alternative e le offerte sono state numerose. Ma il sostegno determinante, e anche risolutivo, è venuto da "Genova Architettura", un'associazione che si è formata con lo scopo di intensificare il dibattito sui problemi dell'architettura e dell'urbanistica genovese e – per dare uno sbocco immediato a questo proposito – di rendere possibile la pubblicazione a Genova di "Spazio e Società". (...) Così [la Rivista] continuerà a perseguire la sua ricerca molteplice, avendo in più, d'ora in poi, l'attenzione immediata di una città che in questi anni è diventata particolarmente interessante perché – come tante altre città – sta passando attraverso una profonda crisi ma – a differenza di molte altre città – ne è consapevole e sembra voler riscoprire le sue qualità per superarla."
(n.36/1986, p.4)

Tre anni più tardi, ancora con un "numero doppio si conclude un altro ciclo di "Spazio e Società": il quinto mi pare [il sesto in realtà]. Quando stamperemo il numero successivo la rivista avrà lasciato Genova e sarà tornata a Firenze – dove era già stata nel terzo e quarto ciclo della sua esistenza vagabonda – per essere pubblicata dalla casa editrice "Le Lettere". Debbo dire che in redazione siamo contenti di riprendere il volo – l'aria fresca fa bene a tutti e alle riviste in particolare – e però siamo anche dispiaciuti di lasciare Genova, di dover fare un numero doppio e perfino di cambiare vita. Ma, del resto, che fare? A Genova la rivista non è riuscita a trovare il terreno necessario a mettere radici. Ed è senza dubbio un peccato, anche perché (...) "Spazio e Società" avrebbe potuto forse essere la sua grande occasione di partecipare direttamente e con voce protagonista al dibattito contemporaneo sull'architettura e sull'urbanistica. Ma purtroppo l'occasione è stata mancata e non resta altro da fare, da parte nostra, che sventolare i fazzoletti dell'addio e ringraziare la casa editrice SAGEP che ha pubblicato dodici numeri, il gruppo di "Genova Architettura" che aveva reso possibile il tentativo di trapianto, le industrie e gli enti locali (detti sponsor) che ci hanno aiutato a sopravvivere nei primi due dei tre anni genovesi, gli studenti di architettura della città che già sono diventati architetti o presto lo diventeranno e che, probabilmente, conserveranno qualche ricordo (stimolante, struggente?) della meteora che hanno visto passare nel loro cielo."
(n.47-48/1989, p.4)

De Carlo considera quella che inizia la sesta vita della Rivista; nel brano che segue, in ogni caso, appaiono chiari gli orientamenti per il futuro, tesi ad evitare ulteriori prove e frustrazioni a "Spazio e Società".

"Quanto infine alla nostra sesta vita, non possiamo tacere che per la nostra rivista, come per i gatti si suppone che ce ne sia in serbo ancora una. Però ci sembra che non avremo più tempo né voglia di affrontare un altro ciclo e che, se dovessimo ancora trovarci nella situazione di ricominciare, finiremmo col credere di aver avuto prove che col mondo così come è d'accordo non ci possiamo andare. Cosicché la nuova vita che ci aspetta vorremmo farla contare per due, come fosse la sesta e la settima in una sola; quindi ci proponiamo di viverla a lungo, intensamente e nel segno dell'allegrezza."
(n.47-48/1989, p.5)

Non sappiamo se la settima vita (effettiva) di "Spazio e Società" sia trascorsa secondo i propositi enunciati in occasione del cambiamento dalla casa editrice SAGEP a Le Lettere, è però ancora una volta compito dell'Editoriale informare il lettore dell'ennesimo cambiamento di editore della testata.

"Per il numero doppio 47-48 del dicembre '89 (...) dicevo anche che "Spazio e Società" stava per passare a un altro editore e quindi per entrare nella sua sesta vita: gliene sarebbe rimasta soltanto un'altra se era vera la profezia che, come i gatti, ne aveva in serbo sette (o sono nove?). Noi però dubitavamo che, dopo il passaggio che stavamo per fare, potessero rimanerci energie e passione sufficienti per farne un altro. Perciò speravamo che la sesta vita potesse essere tanto lunga e intensa da contare per due. Ora possiamo dire che intensa la sesta vita lo è stata, ma non lunga come avremmo voluto. Infatti ci ritroviamo, in coincidenza con questo numero, a fare "punto" con le edizioni Le Lettere e "da capo" con l'editore Gangemi. Al "punto" siamo arrivati con rammarico; "da capo" invece ripartiamo con ottimismo e allegria perché ci sembra di avere davanti una prospettiva attraente. Crediamo di avere, questa volta, garanzie sicure. (...) D'altra parte abbiamo constatato in questa circostanza che, dopo quindici anni di vita della rivista, le difficoltà non hanno diminuito né la nostra persuasione che vale la pena di pubblicarla, né l'interesse del pubblico che ci segue, in particolare quello più giovane. Perciò mi sembra superfluo enunciare un nuovo programma. Continueremo lungo le linee seguite finora e probabilmente ne aggiungeremo altre."
(n.61/1993, p.6)

Le innumerevoli traversie di cui abbiamo dato conto sino a questo punto non impediscono comunque alla Rivista di celebrare il ventennale della sua nascita sul numero 80 del 1998.

"Quando avevamo cominciato nel 1978, per caso e in modo avventuroso, non pensavamo di poter durare tanto a lungo. Invece è accaduto e, nonostante tanti venti contrari, siamo riusciti a tenere più o meno la rotta che ci eravamo proposti. Ora se si rilegge l'editoriale del primo numero, gennaio 1978, si ha l'impressione – gradevole dopotutto – che eravamo ingenui e anche piuttosto spensierati: senza mezzi e senza appoggi volevamo ottenere molto più di quanto è stato possibile. Ma qualcosa l'abbiamo pure ottenuto. (...) Forse siamo anche riusciti a fare il meno possibile di dichiarazioni e abbiamo cercato di renderle il più possibile chiare quando erano proprio necessarie. E ora, per celebrare i venti anni della nostra rivista vorremmo non aggiungere altro a quello che nei suoi ottanta numeri abbiamo avuto occasione di dire."
(n.80/1998, p.4)

Ai festeggiamenti per la ricorrenza, tuttavia, seguirà immediatamente l'ultimo cambio di editore della Rivista che, con l'annuncio nell'Editoriale del numero 81, abbandonerà la casa editrice Gangemi per affidare di fatto la chiusura della serie storica all'editore Maggioli. Con grande lucidità e forse, per la prima volta, con una vena di rassegnazione si riconosce che: "in Italia le riviste di architettura le possono fare solo i grandi gruppi editoriali, oppure – più dimesse – gli istituti universitari che dispongono di risorse pubbliche da passare, a fondo perduto, a piccoli editori perché stampino. Nel primo caso le riviste entrano in un ampio circuito di cataloghi, libri, altre riviste, settimanali, pacchetti di pubblicità; perciò la loro diffusione è sicura. Nel secondo caso restano in un circuito chiuso e quasi non serve distribuirle a librerie e spedirle a abbonati, perché sono già state pagate e d'altra parte il loro primo scopo è di produrre e amministrare titoli per le carriere universitarie. Fuori da questi due circuiti, fare in Italia una rivista di architettura è impresa molto difficile. Grande fatica infatti ha dovuto fare Spazio e Società per sopravvivere vent'anni. Il costo è stato così alto che in occasione di un anniversario tanto insperato, e anche lusinghiero (vent'anni dopotutto non sono pochi), la redazione si è trovata di fronte al dubbio se continuare oppure chiudere e mettersi in ascolto: (...) abbiamo deciso che vale la pena di continuare. E poiché ogni decisione che ha vero senso finisce col generare cambiamenti sensibili, abbiamo colto l'occasione che inaspettatamente si è presentata di cambiare editore. Non starò a dire che Spazio e Società – come i gatti – era destinato a avere sette vite, perché si sa che questa profezia ci ha accompagnati fin dal primo numero, e del resto penso di averla annunciata, altre sei volte almeno, negli ottanta numeri che sono stati pubblicati. Perciò non mi resta che ringraziare e anche profondermi in auguri. I ringraziamenti vanno all'editore Gangemi – uomo simpatico e gentile, col quale lavorare è stato molto piacevole – per avere pubblicato Spazio e Società dal 1993 al 1997 con costante entusiasmo. Gli auguri vanno anche all'editore Maggioli, che ha avuto fiducia nella nostra rivista e si ripromette di rilanciarla, diffonderla capillarmente, farla arrivare in tempo agli abbonati, assicurare la sua presenza nelle principali librerie italiane e straniere. E auguri infine vanno alla redazione della rivista, che è arrivata fin qui e ora si è impegnata in un nuovo atto della stessa avventura con passione e intelligenza."
(n.81/1998, pp.8-9)

Le vicende della Rivista richiamate sino a questo punto delineano il profilo di una esistenza che, in quanto tale, è come sempre autonoma ed originale, anche rispetto a quella del suo creatore e direttore. Tuttavia, se le due esistenze, di Giancarlo De Carlo e di "Spazio e Società", non coincidono sembrano comunque incrociarsi in diverse circostanze, producendo significative e reciproche influenze. In "Spazio e Società" ne rimane una traccia finale nelle parole di De Carlo conservate nell'Editoriale del numero 91.

"Da venticinque anni ogni numero di "Spazio e Società" è aperto da un mio scritto che nell'indice è chiamato "editoriale" anche se il più delle volte non ha riferimenti con gli scritti e i progetti che seguono. Il ritrovarlo è diventata per molti lettori una tranquilla abitudine; tanto che, la sola volta che lo avevo saltato, ho ricevuto lettere allarmate che me ne chiedevano la ragione. Gli ultimi mesi, dedicati alla preparazione di questo numero, hanno coinciso con un periodo per me difficile, al punto che sono stato tentato per la seconda volta di saltare l'editoriale. Però poi non me la sono sentita e ho deciso di riempire lo spazio lasciato vuoto con tre note scritte pensando solo ai miei pensieri – e cioè del tutto private – che ora trasferisco nella rivista così come sono, senza adattarle ai pensieri altrui."
(n.91/2000, p.4)

Gli sviluppi di questa vicenda mettono in luce le fasi di transizione, in occasione delle quali la verifica della forma e dei contenuti della rivista costituirà in qualche modo la condizione per una revisione continua ed un aggiornamento costante di "Spazio e Società" che giungerà sino ai suoi epigoni senza risultare mai "out-moded".
(n.72/1995, p.6-9)

Ora però, nonostante il suo vigore e la prolungata giovinezza, "Spazio e Società" ci ha lasciati, avendo colmato fino dove ha potuto il vuoto che si proponeva di colmare nelle discipline che si occupano del progetto di organizzazioni coerenti di spazio e società. Più volte, però, De Carlo ci ha ammonito sul fatto che questo vuoto è destinato ad aggravarsi. Per questo motivo e per l'affetto che ci lega a "Spazio e Società" vorremmo sentire ancora una volta pronunciare dalle colonne di un Editoriale che: "aumentano i nostri lettori e i nostri abbonati, con costanza anche se non con vertiginosa rapidità. Attraverso la comica distrazione dei più pomposi critici – si dice che molti leggono la rivista di notte per non farsene accorgere – passano i nostri messaggi e raggiungono ascoltatori [che ancora attendono] attenti [e] che non riescono a credere che l'architettura sia morta e non ci sia ormai altra strada se non quella delle esercitazioni narcisiste, della soggezione alle esigenze del consumo, del comprimere falsi problemi nei labirinti dei mass media per trasformarli in arcane sfere. Perciò andiamo avanti."
(n.9/1980, p.3)


Andrea di Giovanni