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Vita e morte delle grandi città - Review
by Andrea Di Giovanni
Jane Jacobs considerava Vita e morte delle grandi città "un attacco contro gli attuali metodi di pianificazione e ristrutturazione                urbanistica" delle città. Impostosi all'attenzione per                la radicalità dell'atteggiamento intellettuale e lo stile                aggressivo e scarno della sua autrice, il libro ha acceso il dibattito                fra gli "addetti ai lavori" sin dalla prima uscita nel                1961. I suoi più accaniti detrattori (schierati tra le fila                del professionismo americano), criticandone lo stile "too personal,                too belligerant"1, riconoscevano tuttavia che "un libro                con qualcosa di nuovo è molto più utile di uno solo                corretto formalmente". Oggi, a quarant'anni di distanza dalla                sua uscita, Vita e morte delle grandi città è ancora                in qualche misura un libro con "qualcosa di nuovo", l'attualità                e l'utilità del quale risiedono probabilmente nella rilevanza                attribuita alle relazioni informali rispetto ai meccanismi di strutturazione                e funzionamento del sistema economico e sociale in contesti altamente                organizzati, quali sono tipicamente quelli delle grandi città.
 Forse, però, la categoria odierna di capitale sociale - suggerita                dalla prefazione di Carlo Olmo alla recente riedizione italiana                - non è la sola utile e pertinente per rileggere il libro                della Jacobs, percorso in realtà anche da una cospicua riflessione                sui modi controversi ed irrisolti di abitare nelle grandi città.                In questa prospettiva l'autrice sembra dedicare una attenzione specifica                alle dinamiche complesse ed articolate di relazione dell'individuo                con lo spazio fisico e con la società locale di cui è                parte, lasciando trasparire dai passaggi della ricerca empirica                la rilevanza problematica di alcune questioni apparentemente banali                (forse perché sostanzialmente banalizzate dalle pratiche                urbanistiche) relative per esempio alla individuazione della geografia,                dei confini e della natura delle suddette relazioni. 
 La capacità di Jane Jacobs di restituire la dimensione teorica                - incerta e problematica - di una ricerca condotta in chiave empirica                e spuria, a cavallo di modi di operare e tradizioni disciplinari                consolidate, fa di Vita e morte delle grandi città un testo di rilevanza formativa oltre che un fondamentale saggio                critico.
 Il riconoscimento di alcuni principali nodi tematici e linee di                riflessione induce a riflettere sulla genesi remota di questo testo                e sulle vicende personali dell'autrice, che dalla metà degli                anni Cinquanta si impegna in una fitta serie di resoconti sulle                città e di battaglie sociali durante le quali si costituiscono                le idee e i "bersagli simbolici" di questo lavoro. Oggi,                invece, la ripubblicazione di Vita e morte delle grandi città da parte delle Edizioni di Comunità si carica di significati                che vanno oltre quelli consueti legati alla riedizione di un classico                della sociologia, attribuendo una specifica rilevanza ed attualità                alle tensioni ed alle esperienze comunitarie che l'autrice vive                in prima persona ed attraverso le quali prende forma progressivamente                questo libro. In esso convergono (con singolari assonanze rispetto                alla nostra epoca) l'indagine, l'azione politica ed i risultati                di una intensa attività editoriale, rimanendo peraltro evidenti                le tracce di conflitti personali e legami formativi. La passione                interiore per la salvaguardia dei diritti di cittadinanza la induce                ad una sfida alla burocrazia che si esprime particolarmente in un                atteggiamento scettico, sfiduciato, ma soprattutto polemico, nei                confronti della pianificazione urbanistica concepita come definizione                deterministica di assetti fisici e stili di vita, chiusa in una                sorta di esercizio intellettualistico viziato da utopismo ed incapace                di comprendere la natura reale dei processi di interazione fra l'uomo                ed il suo ambiente di vita fisico e sociale. Il lavoro appassionato                di Jane Jacobs, allora, è dedicato ad una città che                appare priva di cura, oggetto di concettualizzazione e di interventi                sconsiderati da parte di una devastante "ortodossia urbanistica".
 Le critiche mosse all'urbanistica sono relative soprattutto a tre                ordini di ragioni. In primo luogo, la difficoltà dell'urbanistica                a produrre uno sguardo fertile e pertinente sulla città:                l'evidente incapacità dei tecnici di osservare la città                comprendendone le ragioni degli assetti e la natura delle dinamiche,                dovuta a codici operativi che condizionano l'agire e lo sguardo                dei pianificatori sulla città, impedisce una visione ricca                e consapevole della complessità degli organismi urbani. Per                questo motivo l'urbanistica continua a muoversi tra formulazioni                teoriche ed approcci tecnici, perdendo il contatto con la realtà                dei fenomeni. In secondo luogo, il carattere fondamentalmente prescrittivo                dell'urbanistica tende a predeterminare gli assetti fisici dello                spazio e la vita delle comunità negandone le fondamentali                capacità di auto-organizzazione che, invece, l'osservazione                dei diversi contesti dimostra esistere. Infine, il carattere "dogmatico"                dei modelli disciplinari agisce in maniera pregiudiziale e pregiudizievole                nei confronti delle città, frantumando gli equilibri locali                preesistenti e cancellando i legami esistenti fra la popolazione                e fra questa ed i luoghi che abita.
 L'urbanistica dimostra pertanto di organizzarsi e di procedere rispetto                a "modelli", che di volta in volta assumono il significato                di miti e luoghi comuni: il verde come panacea e l'automobile come                causa di tutti mali; le visioni anti-urbane dell'urbanistica moderna                sistematicamente ostili alle grandi città (descritte come                realtà catastrofiche che nemmeno vale la pena di comprendere);                l'isolato come elemento fondamentale del progetto di architettura                urbana in opposizione alla strada; ecc. Soprattutto, però,                l'urbanistica sembra mancare di capacità autoriflessive e                di accumulazione del sapere disciplinare: da sempre, secondo la                Jacobs, gli urbanisti "hanno trascurato lo studio dei successi                e dei fallimenti riscontrabili nella vita reale, né si sono                chiesti quali fossero le ragioni dei successi inattesi". La                critica della Jacobs, pertanto, non riguarda un presunto deficit                conoscitivo e culturale degli urbanisti, ma piuttosto - e più                gravemente - sottolinea i limiti del paradigma disciplinare.
 La posizione dell'autrice, esterna alla comunità degli urbanisti,                giustifica tuttavia il suo debole interesse per l'analisi dei provvedimenti                urbanistici; la sua passione per le grandi città riguarda                soprattutto "la vitalità dell'esperienza urbana",                nel tentativo di "cercare di capire il complesso ordine sociale                ed economico che esiste sotto l'apparente disordine sociale delle                città". L'interesse per il reale funzionamento della                vita sociale nelle città conduce quindi l'autrice a porsi                alcuni interrogativi (quali specie di strade urbane sono sicure                e quali no? perché certi parchi sono meravigliosi ed altri                non lo sono? perché certi slums rimangono tali ed altri riescono                a rinnovarsi spontaneamente? quali sono le ragioni dello spostamento                del centro delle città? che cos'è un vicinato urbano                e quali funzioni svolge nella città?), domande che formula                ed a cui risponde usando la medesima strategia: l'osservazione diretta                e la ricerca empirica, fortemente a contatto con le realtà                che prende in esame.
 In questo modo, dunque, Jane Jacobs riconosce nei diversi contesti                specificità e vitalità delle esperienze urbane. Gli                esempi e i riferimenti a situazioni reali sono numerosi e riferiti                soprattutto alla città di New York, in cui la sociologa vive;                tuttavia l'insieme delle idee contenute nel libro rappresenta piuttosto                il risultato di indagini svolte in molte altre città americane,                nel tentativo dichiarato di uscire dall'abitudine a vedere per imparare                ad osservare e comparare cose e situazioni.
 La fertilità del percorso di ricerca della Jacobs è                documentato dalla consistente mole di considerazioni ed argomenti                proposti al lettore. Per citarne solamente alcuni: il rapporto fra                tutela dello spazio urbano e ghettizzazione; il rapporto fra coesione                sociale ed esclusione degli estranei; il rapporto fra partecipazione                alla sfera pubblica e privacy; i concetti di "mixed uses",                "zoning for diversity" e controllo sociale sotto forma                di vita pubblica nelle strade ("eyes on the street") come                condizioni essenziali del "defensible space"; le considerazioni                sulle forme di socialità nei diversi contesti e sulle modalità,                le finalità e i requisiti della vita in pubblico e di quella                condotta in privato.
 Da questi argomenti, tuttavia, emerge implicitamente l'idea di una                urbanistica necessaria, intesa come pratica orientata alla costruzione                di relazioni fra parti di città e fra città e società,                il cui esito non può che essere una estetica urbana che sostenga                l'associazione indissolubile - ma non per questo imperscrutabile                - tra forme e funzioni.
 I temi, le riflessioni e le esperienze dell'autrice trovano nel                libro una organizzazione logica ed espositiva che inverte i tradizionali                percorsi dell'urbanistica, partendo cioè dalla misura delle                relazioni umane e dalla considerazione del funzionamento concreto                delle città (suffragata dai dati acquisiti dalla ricerca                empirica e dalla osservazione diretta dei contesti) per verificare                le teorie e gli approcci disciplinari dell'urbanistica alla città                stessa. Nelle quattro parti di cui si compone il libro, dunque,                vengono presi in considerazione dapprima il comportamento sociale                degli abitanti e il funzionamento economico delle città.                Nella terza e nella quarta parte vengono illustrarti rispettivamente                alcuni esempi di processi di decadenza e di rigenerazione urbana,                insieme ad alcune proposte di modificazione delle tecniche di progettazione                architettonica ed urbanistica.
 Lo stile sempre descrittivo (e mai prescrittivo, coerentemente con                le critiche mosse all'urbanistica) consente all'autrice di mantenere                una posizione da osservatore esterno, rivendicata come condizione                necessaria per cogliere la natura e il significato dei fenomeni                reali. Lo stile espositivo, quasi naïf, si rivela fertile ed                in alcuni casi persino disincantato nella lucidità e lungimiranza                con cui osserva, registra e prefigura scenari che ci sono concretamente                contemporanei.
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