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A Cidade informal no século 21.
La sfida della Favelas a São Paulo
(Italian translation)
Francesco Chiodelli
Il testo analizza e commenta la mostra “A cidade informal no século 21” con riferimento alle politiche messe in campo negli ultimi anni dalla municipalità di São Paulo (Brasile) per affrontare il problema degli slum (i progetti presentati nella mostra, infatti, si inseriscono e trovano senso proprio all’interno di questo quadro). Per quanto la proliferazione delle abitazioni precarie ed informali sia un tratto caratteristico delle megacittà dei paesi emergenti e del sud del mondo (e dunque anche delle città brasiliane), proprio da São Paulo vengono infatti i segnali più incoraggianti sulla possibilità di intervenire con efficacia nel miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti delle baraccopoli.
1. Il PIANETA DEGLI SLUM
In un qualche giorno come un altro degli ultimi cinque anni (fissato, a seconda dei casi, tra il 2005 e il 2008) [1] è avvenuto un fatto epocale, senza che nessuno se ne accorgesse e lo celebrasse: per la prima volta nella storia dell’umanità la popolazione urbana del pianeta ha superato quella rurale. Il numero degli abitanti urbani del Terra ha vissuto un’accelerazione repentina soprattutto a partire dalla metà del Novecento: se in mezzo secolo il genere umano è passato dai 2,5 miliardi di unità del 1950 ai 6 miliardi del 2000 (oggi si sfiorano i 7 miliardi di individui), il 60% di questa crescita che si è localizzato nelle aree urbane [2]. Nel 2025, il 56,6% di tutti gli abitanti della terra (4,5 miliardi su 8 miliardi) vivrà in città (United Nations, 2010).
A trainare questa crescita sono state soprattutto le aree urbane dei cosiddetti paesi emergenti e del sud del mondo: se per lungo tempo la graduatoria delle città più popolose del pianeta è stata guidata da conurbazioni dei paesi più sviluppati (Parigi, Londra, Berlino, New York, Tokyo), negli ultimi decenni a scalare questa classifica sono stati soprattutto agglomerati urbani di Africa e Asia (Bombay, Lagos, Dhaka, Karachi, Hyderabad). Ad occupare un posto di rilievo in questa particolare classifica sono invece già da diversi anni le città del Brasile, ed in particolare São Paulo, con i 20 milioni di abitanti della propria area metropolitana (MRSP) [3].
Quest’impetuosa crescita urbana ha però, in molti casi, ben poco di epico e glorioso. Ciò è vero in modo drammatico per le aree urbane di Africa e sud-est asiatico; tuttavia anche in paesi in forte crescita economica come il Brasile la rapida urbanizzazione e il gigantismo urbano hanno portato con sé rilevanti problemi, tra cui quello della proliferazione degli slum [4]. Pochi dati sono sufficienti per fasi un’idea della rilevanza del problema: nel 2001, 924 milioni di persone (il 31,6% della popolazione urbana mondiale) vivevano in uno dei circa 250.000 slum del pianeta; se il trend di crescita degli slum non verrà invertito, la metà della crescita urbana dei prossimi trent’anni sarà assorbita dalle baraccopoli, portando la loro popolazione ad aumentare di circa 2 miliardi di persone, di modo che, nei prossimi decenni, quasi il 50% della popolazione urbana del pianeta vivrà in uno slum (UN-HABITAT, 2003). La maggioranza di queste persone si trova nelle nazioni in via di sviluppo e nei paesi del sud del mondo (Asia e Africa in testa) [5]; tuttavia, anche in una nazione divenuta protagonista della scena economica internazionale come il Brasile, il 37% della popolazione urbana continua a vivere in uno slum. E’ però proprio dal Brasile che, nell’ultimo decennio, sono venuti i segnali più incoraggianti sulla possibilità di intervenire con efficacia nel miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti delle baraccopoli.
2. LA SFIDA DELLE FAVELAS A SÃO PAULO
Lo stato di São Paulo è il più ricco del Brasile e la città di São Paulo è il cuore economico e finanziario del paese. Nonostante questo, São Paulo è anche la città dell’America Latina con il numero più elevato di persone che vivono negli slum: la Secreteria Municipal de Habitação della città dichiara che circa il 30% degli abitanti della municipalità vive in una qualche forma di precarietà abitativa, per un totale di 3 milioni di persone (ossia più di un terzo di tutti i favelados del paese) (França e Barda, 2010) [6].
E’ soprattutto a partire dagli anni Ottanta che la città ha visto aumentare il numero degli abitanti delle baraccopoli: la crisi economica che ha colpito São Paulo, per decenni cuore produttivo del paese, ha portato con sé una crescita repentina della disoccupazione e della povertà e, di conseguenza, una crescita della abitazioni informali. Se negli anni Settanta le favelas ospitavano soltanto l’1% della popolazione paulista, nei primi anni Novanta tale quota aveva raggiunto il 20%. L’espansione delle favelas è avvenuta soprattutto in periferia: la città, che fino alla metà del Novecento era compatta e densa, si è così rapidamente estesa a macchia d’olio, con la creazione di enormi quartieri di baracche, degradati, con servizi scarsi e lontani dal centro (che oggi occupano circa il 70% della superficie dell’area metropolitana).
La configurazione urbana che si è determinata non è però di tipo dicotomico (centro ricco vs. periferia povera), ma è estremamente più articolata ed eterogenea: parte della popolazione più benestante ha stabilito la propria residenza in alcune zone della periferia; allo stesso tempo il centro città continua ad ospitare una quota rilevante di poveri all’interno dei cosiddetti cortiços (UN-HABITAT, 2010). Ciò è significativo perché testimonia il fatto che i quartieri poveri di São Paulo sono estremamente diversificati (e, di conseguenza, diversificate sono anche le modalità di intervento necessarie per affrontare efficacemente il problema): se spesso ci si riferisce agli slum brasiliani con il termine favelas, queste in verità sono solo una delle tipologie di abitazioni precarie ed informali del paese. In termini generali se ne possono individuare due tipi principali (Fix et al., 2003):
- cortiços: unità abitative in affitto, per lo più costituite da una singola stanza, ricavate dalla suddivisione ripetuta di abitazioni in particolare all’interno di vecchi edifici del centro città. Sono caratterizzate da sovraffollamento e condizioni igienico-sanitarie problematiche (i servizi igienici sono comuni, spesso uno ogni 20-30 persone; le stanze sono usualmente piccole, basse, senza finestre e con una ventilazione scarsa; intere famiglie vivono all’interno di una singola stanza). Nel 2000 soltanto nelle aree centrali di São Paulo (i quartieri di Sé e Mooca) sono stati censiti 1.648 edifici definibili come cortiços (vedi López et al., 2010);
- favelas: insediamenti irregolari, realizzati su aree di proprietà pubblica o privata occupate illegalmente da famiglie povere, che vi hanno costruito la propria abitazione. Sono caratterizzate da carenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Sono localizzate per lo più in periferia, dove la disponibilità di spazi liberi è maggiore [7]. Per quanto gli slum siano un fenomeno pervasivo del panorama urbano di São Paulo e rappresentino dunque un problema rilevante per la municipalità, va tuttavia sottolineato come il loro status qualitativo non abbia paragone con gli slum delle città dell’Africa o dell’Asia meridionale. Favelas e cortiços di São Paulo (e più in generale del Brasile) hanno infatti servizi essenziali impensabili nelle baraccopoli di Lagos o Mumbai: il 98,4% delle abitazioni della regione metropolitana di São Paulo è dotato di una connessione all’acqua corrente, il 70% di favelados e abitanti dei cortiços è connesso legalmente alla rete elettrica, il gas è utilizzato praticamente da tutti come combustibile per cucinare, la raccolta dei rifiuti è garantita in tutta la città [8]. Deficienze rilevanti in termini di servizi di base si registrano soltanto in relazione all’allacciamento al sistema fognario (che è comunque garantito al 56% di favelados e abitanti dei cortiços). Tuttavia gli slum di São Paulo rimangono per lo più sovraffollati, insalubri, costruiti con materiali inadatti, edificati illegalmente, localizzati in aree a rischio ambientale, lontani dalle aree del centro e poco serviti dai mezzi di trasporto collettivo, privi di spazi e servizi pubblici, caratterizzati da elevati livelli di violenza.
Non solo, dunque, la situazione degli slum São Paulo è meno drammatica rispetto a quella di altre città del sud del mondo; ciò che è incoraggiante è soprattutto il trend di miglioramento delle condizioni di vita dei poveri delle baraccopoli brasiliane nell’ultimo decennio (ed in particolare in anni recentissimi, durante la presidenza di Luiz Inácio Lula da Silva). Dal 1990 al 2005 il numero del persone sotto la soglia di povertà in Brasile è calato dal 52% al 38% della popolazione, con una diminuzione del 4,2% soltanto dal 2006 al 2007. Il tasso di povertà nell’area metropolitana di São Paulo, che nel 1999 aveva raggiunto il picco del 39% (pari a 6,4 milioni di persone), dal 2003 ha cominciato a diminuire drasticamente, con una riduzione del 20% in cinque anni. Tutto ciò è stato il frutto sia di fattori economici e demografici tanto nazionali quanto locali, sia degli intensi sforzi pubblici in questa direzione (UN-HABITAT, 2008). La diminuzione della povertà si è infatti potuta riflettere positivamente sulle condizioni abitative negli slum grazie soprattutto ai programmi di riqualificazione avviati dalla municipalità (come parte integrante della strategia nazionale di lotta alla povertà). Invertendo la prassi che fino agli anni Ottanta aveva caratterizzato l’approccio pubblico al problema delle favelas (un mix di demolizioni e sgomberi, costruzioni di grandi concentrazioni di alloggi popolari nell’estrema periferia, elusione del problema), è stato messo in campo un ventaglio di interventi finalizzati ad affrontare radicalmente la questione. Tra questi il Programa de Urbanização de Favelas che, sull’esempio del progetto pilota Programa de Recuperação Urbana e Saneamento Ambiental de Bacia Hidrográfica do Guarapiranga (vedi França, 2000), ha beneficiato circa 130.000 famiglie residenti nelle favelas della città. Il principio base del programma è stato quello del miglioramento delle condizioni abitative degli slum, tramite opere di infrastrutturazione di base (sistema fognario, drenaggio delle acque piovane, pavimentazione delle strade, connessione all’acqua corrente), accompagnate da interventi di realizzazione di spazi e servizi pubblici (piazze, parchi, centri sportivi e comunitari), con lo scopo di diminuire la distanza, tanto simbolica quanto sostanziale, di questi quartieri dalle aree formali della città. Tutte queste operazioni hanno tentato di limitare al massimo gli sgomberi e si sono accompagnate ad un processo di regolarizzazione delle abitazioni realizzate su suolo pubblico occupato illegalmente [9].
3. Il VALORE DELLA MOSTRA
La mostra “A cicade informal no século 21” (“La città informale nel XXI secolo”), curata dall’architetto Marisa Barda, presenta, attraverso plastici, tavole, foto e video, 18 progetti relativi a sette favelas di São Paulo (con attenzione particolare alla favela di Paraisópolis, la seconda della città con quasi 56.000 abitanti e 21.000 abitazioni) [10]. I diversi progetti provengono da tre esperienze separate: un corso di dottorato (Infraestrutura Alternativa para a Cidade Informal) in architettura e urbanistica organizzato da Christian Werthmann presso la Harvard University Graduates School of Design [11]; un corso in Sustainable Urban Living Model, svoltosi presso la Columbia University Graduate School of Architecture Planning and Preservation e coordinato da Alfredo Brillembourg e Hubert Klumpner [12]; la selezione dei lavori di sei team di architetti [13], presentati nel 2009 alla Biennale Internazionale di Architettura di Rotterdam. I diversi lavori sono organizzati secondo quattro sezioni tematiche: connessioni (progetti che cercano di ricostruire connessione e continuità tra i quartieri informali e la città formale); transizioni (progetti che esplorano le relazioni tra spazi pubblici e privati all’interno delle favelas); fruizioni (progetti che propongono soluzioni alternative ai tradizionali sistemi di drenaggio, uso dell’acqua e riciclaggio, in direzione di una maggior sostenibilità ambientale di questi quartieri); trasformazioni (progetti per la trasformazione di specifiche porzioni della favela, con l’obiettivo di realizzare, parchi, abitazioni, spazi pubblici).
Tali informazioni, da sole, non aiutano però a cogliere il valore della mostra; l’esposizione, infatti, assume senso solo se considerata all’interno del quadro della condizione degli insediamenti informali di São Paulo e, ancor di più precisamente, all’interno del quadro delle politiche della municipalità per la riqualificazione di favelas e cortiços. In assenza di questo contesto si sarebbe trattato poco più che di un esercizio simile a molti altri esercizi di questo tipo, certamente interessante, ma pur sempre poco più che retorico (i progetti dei sei teams di architetti) o semplicemente didattico (i corsi della Harvard University e della Columbia University); ed è questa, in effetti, l’impressione che un osservatore distratto, o con una conoscenza solo superficiale del contesto paulista, potrebbe avere.
Il suo situarsi invece nel quadro descritto, e la stretta connessione che le attività dalle quali l’esposizione nasce hanno avuto con i settori della municipalità di São Paulo che si occupano dei programmi di riqualificazione delle favelas, fanno assumere alla mostra un significato del tutto diverso, determinandone il valore e l’interesse. La condizione delle favelas pauliste e soprattutto le politiche di intervento nelle aree informali messe in campo dalla municipalità di São Paulo costituiscono sia lo sfondo sia l’orizzonte delle proposte presentate: sono lo sfondo perché i diversi progetti, pur di qualità differente, si confrontano e si inseriscono tutti all’interno dei temi cardine luogo i quali i progetti di riqualificazione delle favelas si sono in questi anni effettivamente sviluppati (l’attenzione alla ricucitura tra la città formale e quella informale, l’intervento interstiziale per la creazione di un mosaico di luoghi pubblici nel poco spazio ancora disponibile, la cura per le questioni infrastrutturali ed ambientali, il tentativo di limitare gli impatti negativi sul tessuto abitativo e sociale esistente); sono l’orizzonte perché le proposte progettuali si possono leggere come stimolo e suggerimento per l’innovazione di specifiche politiche pubbliche tutt’ora in campo ‒ in questo senso la componente “pindarica” che in alcuni casi i progetti mantengono assume il senso non dell’irrealismo, bensì dello stimolo all’innovazione degli interventi municipali verso nuove strade possibili.
Se questo è il valore intrinseco della mostra, l’esposizione ne assume anche un altro per così dire estrinseco, relativo alla Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano che la ospita. Ciò che la mostra suggerisce alla nostra scuola è l’apertura verso nuovi orizzonti di riferimento, sia geografici sia tematici. In un mondo in cui il baricentro economico si sta sempre più velocemente spostando verso nuovi paesi emergenti (non solo la Cina, ma anche il Brasile e l’India, per esempio), la suggestione che dall’esposizione si può cogliere è quella di cominciare a indirizzare lo sguardo dei futuri architetti e urbanisti italiani anche verso queste aree e verso i nuovi temi che queste aree portano con sé, con più decisione di quanto fatto fino ad ora. Tra questi nuovi temi, un posto privilegiato assume sicuramente quello dell’abitazione informale: se nelle città occidentali è un fenomeno tutto sommato residuale, in molte aree urbane del sud del mondo è una delle modalità insediative prevalenti. Formare professionisti che conoscano e siano in grado di intervenire con consapevolezza nel contesto della città informale appare utile per lo meno per due ragioni: in primis perché, visto che i paesi emergenti (e tra questi il Brasile) diventeranno sempre più una delle possibili mete professionali per le nuove generazioni di architetti e urbanisti (basti pensare alle opportunità legate ai mondiali di calcio del 2014 e ai giochi olimpici del 2016, che avranno luogo entrambi in Brasile), ciò può essere utile per stimolare una modalità di azione diversa da quella a-contestuale tipica di molti dei grandi progetti di architettura che si realizzano in questi paesi; in secundis, molto semplicemente, perché non si può continuare ad ignorare, se non altro per questioni quantitative, una modalità insediativa, quella dello slum, che nei prossimi decenni arriverà ad ospitare tre miliardi di persone.
BIBLIOGRAFIA
Brillembourg A., França E., Zacarias E.S.F., Klupner H., (Eds) (2010), São Paulo. Projetos de Urbanização de Favelas, Superintendencia de Habitação Popular, São Paulo.
Davis M. (2006), The Planet of Slums, Verso, Londra.
Diniz dos Santos M.T., França E. (2008), Urbanização de Favelas. A Experiência de São Paulo, Marcos Boldarini, São Paulo.
Fix M., Arantes P., Tanaka G. (2003), Understanding slums : Case studies for the Global Report on Human Settlements. UN-HABITAT, São Paulo [www.unhabitat.org].
França E. (Ed), (2000), Guarapiranga: urban and environment rehabilitation in the City of São Paulo, Marcos Carrilho Arquitetos, São Paulo.
França E., Barda M. (2010), A cidade informal no século 21, Tinta Pura, São Paulo. [catalogo della mostra]
Herling T., França E. (Eds) (2009), Social Housing in São Paulo: Challenges and New Management Tools, The Cities Alliance, Washington.
López A., França E., K. Prado Costa (2010), Cortiços: A Experiência de São Paulo, Prefeitura da Cidade de São Paulo, São Paulo.
United Nation (2004), World Urbanization Prospects. The 2003 Revision, United Nations Editions, New York.
United Nation (2010), World Urbanization Prospects. The 2009 Revision, United Nations Editions, New York.
UN-HABITAT (2003), The Challenge of Slums. Global report on human settlements 2003, Earthscan, London.
UN-HABITAT (2008), State of the World Cities 2010/2011. Bridging the urban divide, Earthscan, London.
UN-HABITAT (2010), São Paulo: A Tale of Two Cities, United Nation Human Settlements Programme, Nairobi [www.unhabitat.org].
Werthmann C. (Ed) (2009), Operações táticas na cidade informal, Secretaria Municipal de Habitação, São Paulo.
NOTE AL TESTO
[1] United Nation (2004) fissa tale data nel 2005; Davis (2006) parla di una data compresa tra il 2007 e il 2008; UN-HABITAT (2008) parla del 2008.
[2] Nel 1950 esistevano solo 86 città con più di un milione di abitanti; oggi le conurbazioni milionarie sono più di 400.
[3] La popolazione all’interno del perimetro municipale di São Paulo (MSP) è di circa 11 milioni di abitanti (UN-HABITAT, 2010).
[4] Con slum si indica genericamente “un’area densamente popolata e caratterizzata da abitazioni al di sotto degli standard minimi e da miseria” (UN-HABITAT, 2003: 10). Le Nazioni Unite individuano cinque parametri il cui non soddisfacimento indica la presenza di uno slum: accesso all’acqua corrente, presenza di servizi sanitari e sistemi fognari, spazio abitativo sufficiente (assenza di sovraffollamento), abitazioni realizzate in materiali durevoli, legittimità del titolo di possesso della casa. I termini usati nelle diverse lingue per indicare gli slum sono però differenti, ciascuno indicante una particolare declinazione del fenomeno (in Brasile, a seconda dei casi, si parla di favelas, cortiços, loteamentos irregulares).
[5] La quota di popolazione urbana che vive in uno slum è notevolmente diversa a seconda delle aree del pianeta: ad esempio nei paesi dell’Africa sub-sahariana è del 71,9%; in Africa settentrionale del 28,2%; in Asia centrale e meridionale del 58%; in America Latina e Caraibi del 31,9% (UN-HABITAT, 2003).
[6] Secondo UN-HABITAT (2010) è il 20% della popolazione di São Paulo (circa 2 milioni di persone) ad abitare nelle favelas.
[7] A questi due tipi principali si aggiungono i loteamentos irregulares, aree residenziali realizzate su terreni di proprietà dei residenti, ma al di fuori delle regole di uso del suolo stabilite dalla municipalità (si tratta solitamente terreni rurali, edificati in violazione delle norme urbanistiche). Soffrono di problemi analoghi a quelli delle favelas in termini di servizi e infrastrutture di base; a differenza delle favelas, non si tratta però di spazi occupati illegalmente: la proprietà legale del suolo ha così facilitato nel tempo il processo di regolarizzazione di molti di questi insediamenti.
[8] Ad esempio negli insediamenti informali dell’Africa sub-sahariana solo il 19,1% delle famiglie è connesso all’acqua corrente, il 7,4% al sistema fognario, il 20,3% all’elettricità, il 2,9% alla rete telefonica (UN-HABITAT, 2003, p. 114).
[9] Ad esempio nel Master Plan di São Paulo del 2002 (il Plano Diretor Estratégico do Município de São Paulo) quella della regolarizzazione degli insediamenti illegali è definita come una delle strategie principali per lo sviluppo della città; il Programa de Regularização Urbanística e Fundiária de Supetintendência de Habitação Popular è finalizzato esplicitamente alla regolarizzazione di aree pubbliche occupate per finalità abitative da famiglie a basso reddito (vedi Diniz dos Santos e França, 2008; Herling e França, 2009). Sulle politiche municipali relative ai cortiços vedi Lopez et al. (2010).
[10] Gli altri quartieri informali oggetto della mostra sono Bamburral, Córrego de Mina, Parque Novo Santo Amaro V, Cantinho do Céu, Vargem Grande e Cidade Júlia.
[11] I risultati di quest’esperienza sono esposti approfonditamente in Werthmann (2009).
[12] Per un approfondimento sul lavoro di S.L.U.M. Lab (Sustainable Living Urban Model Lab) coordinato da Alfredo Brillembourg e Hubert Klumpner vedi Brillembourg et al. (2010).
[13] Urban Think Tank (Venezuela), Elemental (Chile), Christian Kerez (Svizzera), Ciro Pirondi, Marcos Boldarini e MMBB (Brasile).
Francesco Chiodelli
DiAP Dipartimento di Architettura e Pianificazione
Politecnico di Milano
Email: francesco.chiodelli@polimi.it
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