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Diario 06 | Scenari
by Bernardo Secchi
Il nostro tempo sembra dominato dall'incertezza. Banalizzate e sospinte ad invadere gli immaginari collettivi, le retoriche dell'incertezza svolgono oggi un importante ruolo di legittimazione di diverse forme di relativismo. Se nulla può essere detto con certezza, se tutto appare in-certo, in-affidabile ed in-credibile, tutto può apparire dicibile e ciò può coprire sostanziali re-distribuzioni del potere. L'enfasi odierna sull'incertezza è certamente una reazione alle versioni più riduttive del determinismo del passato ed alle visioni teleologiche della storia che esse avevano contribuito a costruire, ma è anche esito forse della delusione prodotta in molti campi, specie in quelli percorsi da una forte tensione progettuale, dalle concezioni sistemiche.
Ciò di cui ci stiamo accorgendo e che numerose ricerche degli ultimi anni ci mostrano, almeno nel campo di studi del quale mi occupo, è che molti fenomeni, che in passato avevamo isolato tra loro e rinchiuso entro gli steccati di sempre più specifiche aree di ricerca e discipline, sono fondamentalmente sovra-determinati. Tra questi le trasformazioni della città e del territorio. Questo termine "sovra-determinazione" vorrei contrapporre ed opporre a quello di "incertezza". Per dire cosa intendo non trovo miglior riferimento dell'Uomo senza qualità. Come tutti sanno il problema che Musil affronta è quello delle ragioni del primo conflitto mondiale. Esito di un numero di cause sovrabbondante rispetto a quelle necessarie e tra le quali diviene difficile stabilire ordini di importanza e di priorità, il conflitto appare, agli occhi di Musil, un fenomeno appunto sovra-determinato, come lo sono, ad esempio, molti fenomeni meteorologici non a caso richiamati dall'incipit del romanzo. Analogamente sovra-determinate appaiono oggi le trasformazioni della città e dei territori europei.
La consapevolezza di questa natura dei fenomeni urbani nelle loro diverse dimensioni, una natura profondamente diversa da quella presupposta in passato, è a mio modo di vedere l'esito di una stagione molto fertile connotata da un evidente e pervasivo sforzo descrittivo. Sviluppatosi lungo diverse direzioni, facendo ricorso ad un vocabolario in continua espansione e straordinariamente denso di termini metaforici, mettendo a punto tattiche e strategie cognitive differenti, chiamando a collaborare discipline, aree di studio e di espressione artistica non sempre usuali, questo sforzo mi appare analogo a quello compiuto in epoche passate; ad esempio a quello del romanzo europeo del diciannovesimo secolo, "un periodo- nelle parole di Balzac- di analisi e descrizioni", che tante conseguenze ha avuto per il nostro modo di osservare ed immaginare la città moderna.
Con una forte attenzione al presente, a things in the making per usare l'espressione di William James, la stagione descrittiva cui mi riferisco ha rivelato, attraverso l'esperienza dei luoghi, ciò che di nuovo e sorprendente stava investendo la società europea, le pratiche d'uso della città e del territorio, le dimensioni del quotidiano, le differenze che lo attraversano, il continuo annullarsi e riformarsi di visibili ed invisibili barriere di inclusione ed esclusione, il mutare di ruolo e di senso di materiali da tempo consolidati. Il nuovo sforzo descrittivo ha così contribuito a costruire una distanza critica dall'oggetto indagato ed in ciò risiede la sua importanza. Città e territorio sono allora apparsi come percorsi da una numerosissima serie di tendenze, ciascuna delle quali poteva trovare proprie ragionevoli spiegazioni, ma l'insieme delle quali appariva anche sovrabbondante per spiegarne il passato e costruirne il futuro.
Ciò che la consapevolezza del carattere sovra-determinato dei fenomeni urbani ha prodotto è la necessità di esplorare con maggior profondità di quanto sia abituale l'ampio spazio che, proprio a causa della sovra-determinazione, si apre tra visioni finalistiche ed esperienza quotidiana, tra ideologia e pragmatismo, tra concept e progetto, ove ognuno di questi termini richiede non solo di non essere rimosso, ma anche di essere assunto nelle sue dimensioni più profonde. Essi non alludono infatti ad estremi dai quali distanziarsi, ma divengono riferimenti ineludibili che perimetrano, differentemente in ogni periodo storico, lo spazio dell'azione politica e progettuale. Se una critica può essere mossa all'architettura ed all'urbanistica degli anni recenti è quella di essersi posta su uno dei vertici di questo poligono, a ridosso di un'esperienza quotidiana ridotta alle pratiche più banali, od a ridosso delle sole procedure della costruzione materiale del progetto, di una ideologia incapace di raccordarsi alla realtà del movimento sociale o di un pragmatismo ridotto a piccola cucina, gravemente assottigliando lo spessore di ciascuno di questi termini e senza esplorare compiutamente lo spazio in between . Uno spazio che sempre più tende ad essere colmato da immagini evasive e seduttive, ma immagini anche di un futuro possibile o desiderato non sempre tra loro compatibili, che si accostano, sovrappongono e mescolano facendo intravedere esiti diversi a seconda che l'una delle tendenze che percorrono la città ed il territorio riesca a prevalere sull'altra o con l'altra a combinarsi in modi non totalmente scontati.
Scenario è termine polisemico e coprente, che ha assunto significati diversi nella storia del teatro come in quella delle previsioni meteorologiche. Usato spesso in modi approssimativi è divenuto termine riferito ad un futuro annunciato, nel bene o nel male, come possibile. Immerse e sovrastate da retoriche differenti, promosse e fatte proprie da differenti costellazioni di attori, costruite con procedure partecipative o tecnocratiche, alcune di queste immagini hanno assunto i connotati di possibili punti di fuga dal presente proposti in modi evasivi; altre quelli di mere rappresentazioni di trends in atto; altre quelli di percorsi argomentati e suggeriti a collettività più o meno vaste, altre ancora hanno assunto i connotati di visions, di rappresentazioni spesso allusive dell'insieme delle domande e dei desideri che percorrono a diverse profondità la società; altre infine quelli di veri e propri scenari, di tentativi cioè di indagare "cosa succederebbe se…".
Se in un campo sovra-determinato di fenomeni, quale è appunto quello delle trasformazioni urbane, si isolano alcuni aspetti e ci interroga su cosa succederebbe se questi fenomeni giungessero alle loro estreme o probabili conseguenze, si ottengono immagini del futuro, scenari appunto, tra loro almeno parzialmente incompatibili ed è proprio questo loro parziale antagonismo che li rende interessanti.
Non vi è alcuna procedura deduttiva che possa portare nelle società contemporanee alla costruzione di una coerente politica della città e del territorio, per quanto forti ne siano i punti di partenza. L'unico terreno concretamente praticabile è quello della scelta tra immagini antagoniste prodotte da soggetti sospinti da immaginari, da presupposti riduttivi, da interessi e da retroterra culturali tra loro parzialmente incompatibili. I principi solitamente affermati nelle carte costitutive delle diverse società civili o, più modestamente, nelle diverse "carte" localmente prodotte negli anni recenti delimitano storicamente il campo dei conflitti di volta in volta ritenuti legittimi. La costruzione di scenari rende tutto ciò evidente e, al contempo, rende la costruzione del progetto per la città ed il territorio operazione profondamente diversa dal passato. Non si tratta di un raffinamento metodologico, ma di un ribaltamento epistemologico.
Un insieme di scenari può essere osservato almeno da tre diversi punti di vista tra di loro inseparabili e che, per semplicità, indicherò con termini che alludono alla dimensione della politica, a quella della geografia ed a quella dell'architettura ove è evidente che ciascuno di questi termini va inteso in senso lato; riferito, il primo, all'insieme di relazioni, di alleanze e conflitti tra popolazioni, economie, culture ed istituzioni; il secondo, agli aspetti spaziali di queste stesse relazioni, al loro incrociare e produrre specifiche costellazioni di materiali dotati di una propria differente inerzia ed il terzo, alla natura concreta dell'insieme di materiali che le stesse relazioni utilizzano e costruiscono. Tra le tre diverse dimensioni cui mi riferisco non intercorre alcuna possibile separazione né alcuna relazione gerarchica o cronologica. Alcuni esempi molto semplici nella loro crudezza possono aiutare a comprendere ed approfondire alcune delle questioni implicate da questa posizione.
Molti osservatori hanno notato che la trasformazione della città e del territorio europeo si accompagna anche ad evidenti fenomeni di inclusione ed esclusione, oggetto in alcuni casi di accurate descrizioni letterarie, filmiche e statistiche, costruendo un terreno di confronto e scontro politico destinato probabilmente a divenire sempre più evidente. Una sorta di grande azzonamento funzionale, sociale ed istituzionale sta producendo ad una scala regionale e continentale la formazione di aree di diversa dimensione di fatto appropriate da specifici gruppi di popolazione o da specifiche attività; una sorta di patchwork che costruisce tra popolazioni ed attività nuove relazioni, nuove distinzioni e nuovi milieux culturali. Ciò costruisce una nuova geografia urbana, nuovi materiali, nuove architetture e paesaggi. Alcune delle tendenze in atto, ad esempio la dispersione, possono essere interpretate come esito di processi di inclusione/esclusione o come opportunità offerte a questi processi di dispiegarsi in modo compiuto. Cosa succederebbe se questi stessi processi assumessero le dimensioni ed i caratteri descritti da Gerald E. Frug osservando l'esperienza statunitense? o sono questi caratteri promossi da attori, le associazioni di proprietari, di fatto assenti nell'esperienza europea? ma non si muovono nella stessa direzione il progressivo smantellamento del welfare state e la progressiva privatizzazione di fondamentali servizi pubblici? non corrisponde questa progressiva riduzione dello spazio del pubblico anche ad una progressiva riduzione e marginalizzazione dell'area del politico i cui esiti sono sotto gli occhi di tutti?
Molti osservatori hanno anche e finalmente notato che frammentazione e dispersione non sono fenomeni che riguardino il limitato campione di regioni italiane inizialmente studiate, ma che si estendono su buona parte del continente. La dispersione ha inizialmente costruito due ridicoli partiti: quello di chi era contro e quello, piuttosto immaginario, di chi era a favore, in realtà di chi faceva osservare la dimensione e pervasività del fenomeno. Pochi si sono posti la domanda: cosa succederebbe se il fenomeno proseguisse e raggiungesse dimensioni estreme? dove sta, allo stato delle tecniche, delle relazioni economiche, delle culture, degli immaginari e dei comportamenti prevalenti ivi compresi quelli politici, il suo limite? cosa ne sarebbe della porosità, fisica, economica e sociale che, attraverso le dismissioni, si viene a costruire entro la città consolidata? quale nuovo territorio, quali nuove forme urbane si verrebbero a formare, come vi si muoverebbero i diversi soggetti? quali domande e loro ordinamento costruirebbero?
Cercare di dare una risposta a questi interrogativi implica la messa in chiaro di molte condizioni e di molte ipotesi; costringe a dire entro quali condizioni alcune affermazioni possono essere ragionevoli ed entro quali procedure alcune proposte possono inverarsi. Costringe ogni progetto ad uscire dal recinto ben protetto di un'ineffabile saggezza privata per dire con quali aspetti delle trasformazioni urbane, con quali aspetti delle trasformazioni sociali e dell'economia con quali attori e destinatari si confronta e come concretamente cerca di incrociarli. Forse arriviamo troppo tardi ed al contempo troppo presto per dire queste cose. Troppo tardi perché le tendenze cui mi riferisco hanno avuto il tempo di trasformare radicalmente la scena, troppo presto perché le nostre idee nei confronti dell'intero processo di trasformazione sono ancora troppo poco chiare come quelle di molti personaggi di Musil e come molti di loro continuiamo ad occuparci di azioni parallele.
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