Browsing this web site you accept techinical and statistical cookies. close [ more info ]

Diary of a Planner by Bernardo Secchi | Planum 2002-2013

Diario 05 | Modificazioni

by Bernardo Secchi

  English Version

La società, l'economia, gli assetti politici ed istituzionali europei stanno attraversando un periodo di profonda ristrutturazione; gran parte di questo processo investe la città ed il territorio e si presenta come profonda modifica del carattere, del ruolo e del significato non solo di loro singole parti o materiali, ma anche di intere regioni. Come solitamente avviene, chi vive il cambiamento giorno per giorno, sommerso dai dettagli, non riesce sempre a coglierne il senso generale. Ciò non può impedirci però di arrischiare delle ipotesi che un giorno potrebbero essere falsificate, ma potrebbero anche rivelarsi corrette e guidare le nostre azioni nel breve e nel medio periodo. È mia impressione e convinzione che città e territorio, in tutte le loro dimensioni, debbano essere posti in un luogo più centrale della politica europea. Detto in altri termini, che i più elevati tassi di crescita economica aggregata, di aumento dei livelli di benessere collettivo e di democrazia saranno propri, in un futuro non lontano, delle regioni e dei paesi europei che avranno saputo affrontare e correttamente risolvere i problemi della città e del territorio. Detto in termini ancora diversi, città e territorio e loro modifiche non sono solo la conseguenza della ristrutturazione del sistema economico, sociale, istituzionale e politico, ma ne sono in larga misura all'origine; esse costruiscono quantomeno le condizioni entro le quali la ristrutturazione può intraprendere strade virtuose o perverse; è per questo che il loro destino non può essere totalmente abbandonato alle sole politiche locali, come avviene nella maggior parte dei paesi europei, ma richiede una riflessione ed un orientamento politico non generico ad una scala ampia.

Le principali ragioni per la quale avanzo queste ipotesi possono essere così schematicamente riassunte:

1. in Europa non vi sono grandi megalopoli. Le grandi metropoli impressioniste del diciannovesimo e del ventesimo secolo sono ora relativamente piccole se confrontate alle megalopoli di altri continenti. La lunga storia urbana del continente ha dato luogo, nonostante le apparenze ed in confronto ad altre parti del mondo, ad una forte resistenza nei confronti del processo di urbanizzazione. La tradizionale rete urbana, fatta soprattutto di città di medie e piccole dimensioni, ciascuna con la profondità della propria storia e con la propria eventuale grande o piccola periferia moderna, ha opposto ed oppone una forte resistenza alla supremazia della capitale nazionale e delle maggiori città. Ciò fa sì che ogni riflessione sulla città europea di necessità si articoli e sfaccetti in una innumerevole serie di distinguo e di considerazioni specifiche che allontanano sempre più sullo sfondo aspetti del tutto generali ed altrettanto rilevanti. 

2. Per banale che possa apparire, lo stile di vita ed i comportamenti degli abitanti della città a me sembra siano la vera novità della cultura urbana europea negli ultimi decenni del ventesimo secolo, una cultura urbana profondamente diversa da quella moderna. Essi possono sommariamente essere ricondotti ai seguenti aspetti:
• una forte preferenza per la casa, unifamiliare, se possibile con giardino, cui corrisponde un altrettanto forte e poco generoso rifiuto della città costruita nell'ultimo periodo della modernità e cioè nella prima parte del ventesimo secolo; un rifiuto che appare tanto più forte quanto più il programma dell'urbanistica e dell'architettura di quel periodo si sono espressi con chiarezza come in molti quartieri dimostrativi di iniziativa pubblica;
• un'elevata mobilità non sistematica che fa apparire i movimenti pendolari e, più in generale, le temporalità della città moderna come qualcosa appartenente ad un lontano passato; tempo e spazio nella città contemporanea sembrano aver perso la coerenza raggiunta nella città moderna; la macchina spaziale non organizza e non rappresenta più il tempo della maggior parte della popolazione urbana;
• un uso allargato del territorio con il conseguente venir meno di ogni limite, barriera o confine; un'immensa città diffusa investe con una propria autonoma geografia i territori di vaste regioni, incrociando differentemente i diversi paesaggi agrari, includendo piccoli e medi centri urbani, toccando ed assorbendo alcune periferie metropolitane;
• un'accentuata flessibilità nel mercato del lavoro soggettivamente interpretata come ricerca nell'immediato di redditi elevati tramite programmi personali ed atipici, costruiti su orizzonti brevi e mutevoli nel tempo dal punto di vista delle competenze mobilitate;
• la sostituzione delle provvidenze e delle rigide procedure del welfare state con un proprio welfare positivo che giustifica le elevate quote del reddito investite nella proprietà, nella casa e nei beni di consumo durevoli e che si accompagna però anche ad un'insistita attenzione alla "cura di sé" ed in particolare del proprio corpo; infine 
• una pervasiva retorica dell'individualismo come ricerca di una differenziazione reale e simbolica nella quale si rappresenta una progressiva presa di distanza dall'altro e soprattutto da ciò che appare con le dimensioni del collettivo.
In molte enclaves urbane, specie ove l'immigrazione extra-europea è stata più consistente, questi stili di vita non hanno potuto e non possono essere raggiunti. Dopo la progressiva attenuazione delle differenze lungo tutto il periodo di formazione e consolidamento dello stato sociale, la società europea, soprattutto nelle grandi città, è stata come stirata verso l'alto e verso il basso: i ricchi sono divenuti sempre più ricchi e distanti dai poveri che nel frattempo divenivano sempre più poveri e numerosi. Un analogo fenomeno di "stiramento" è avvenuto anche per quanto riguarda sul piano sostanziale i diritti di cittadinanza. Ciò ha dato e dà luogo in vaste parti della città europea a fenomeni cumulativi di degrado fisico, di incivilities, di violenza, insicurezza e filtering down di vasti quartieri; di conseguenza, ciò ha dato luogo anche alla fuoriuscita e dispersione nel territorio della città diffusa della parte benestante della popolazione urbana o al suo concentrarsi in specifici quartieri filtering up.
Le ragioni di questa sostanziale modificazione, delle sue inerzie, degli sfasamenti che intercorrono tra ristrutturazione economica, sociale, istituzionale e politica e modifica della città, sono certo molte e probabilmente diverse nelle diverse regioni e situazioni europee, così come diverso nelle diverse regioni e situazioni è il periodo nel quale il fenomeno della dispersione ha inizio, giunge al proprio apogeo e forse ad un termine. Solo ora e con molto ritardo alcuni studi cercano di indagarle in forma comparata.

3. La ristrutturazione della città europea ha molto a che fare con la ristrutturazione del potere, del potere politico ed economico: una ristrutturazione che viene spesso descritta come una maggior democrazia al livello locale, cui fa riscontro una più forte concentrazione del potere, fuori delle istituzioni politiche, a livello nazionale, sovra-nazionale e globale. Una moltiplicazione, a partire dalla fine degli anni '60, di centri ed istanze decisionali, ognuna alla ricerca di un proprio pubblico e di una propria visibilità e mutuamente neutralizzatisi, a livello locale; la riduzione ed integrazione di un potere sempre più forte anche se meno visibile al vertice. Partecipazione sempre più strutturata a livello locale, sottrazione delle politiche rilevanti per la crescita economica e sociale al dibattito entro le principali istituzioni democratiche. Un tentativo di istituzionalizzazione del conflitto a livello locale fondato sulla sua disarticolazione in tanti conflitti specifici e minori ed una gestione sempre più distante dal cittadino delle condizioni generali entro le quali avviene il processo di riproduzione sociale.
Questi aspetti ovviamente non riguardano solo la città e le politiche urbane, ma le modificazioni della città e del territorio sollecitano una riflessione a loro riguardo. L'emergere, lungo tutto il secolo passato, del soggetto e della sua autonomia, l'emergere dell'importanza delle dimensioni del quotidiano e la progressiva democratizzazione della società e dello spazio urbano, hanno portato il cittadino a concentrare sempre più la propria attenzione su ciò che gli è prossimo e che gli sembra effettivamente modificabile da una propria azione o comportamento ed a nutrire, contemporaneamente, una profonda sfiducia circa la possibilità di contribuire al governo di fenomeni più generali: l'andamento dell'economia monetaria, ma anche le principali questioni ambientali o i caratteri della crescita urbana e del territorio entro il quale vive. Chi abbia frequentato le istanze della partecipazione non può avere dubbi in proposito. Molte questioni, dell'importanza delle quali ognuno è pur consapevole, vengono giudicate dal cittadino medio come fuori della portata di un proprio controllo e per questo raramente valutate con spirito critico ed aperto. Nei loro confronti si tende piuttosto ad assumere atteggiamenti radicali o fortemente retorici, spesso terrifici quanto poco efficaci. Il caso dell'immigrazione extra-europea ne è un esempio evidente, ma molti temi connessi alle politiche ambientali od alimentari sono simili.

4. Molte amministrazioni locali hanno cercato di superare questa impasse attraverso una politica di renovatio urbis: una serie di interventi puntuali, soprattutto nelle aree dimesse o vacanti, cui si affidava il compito di colonizzare e ridefinire ruolo e posizione di intere parti di città o dell'intera città entro contesti più ampi. Entro queste politiche l'architettura ha svolto un ruolo comunicativo di non poco conto. Ma queste politiche, cui all'inizio è arriso un certo successo, hanno trovato presto i propri limiti: le aree dimesse ed il capitale fisso loro collegato erano e sono tuttora troppo ingenti; la loro immissione simultanea nel mercato avrebbe conseguenze destabilizzanti in molti settori dell'economia; molti degli interventi realizzati appaiono celibi, ridotti come truppe coloniali entro un proprio ridotto estraneo al contesto; estraneo soprattutto alla soluzione dei problemi di prossimità cari al cittadino medio, quanto a quelli di più vasta scala che sollecitano le prese di posizione più radicali; per le attività e le funzioni che ospitano, più che strumenti di integrazione essi divengono immagini dello "stiramento" sociale cui prima alludevo nelle quali si rappresenta la parte più favorita di una società e di un'economia estranee all'articolazione delle differenti situazioni cui prima mi riferivo. Il mancato plauso del cittadino che vota ha fatto ruotare in molti casi l'asse politico di molti gradi.

5. Probabilmente ciò di cui il riformismo europeo necessita, per quanto riguarda i temi qui trattati, è l'abbandono di alcune false dicotomie ed opposizioni troppo frequentate in passato: concentrazione vs. dispersione; piano vs. progetto; urbanistica vs. architettura; disegno vs. politiche, ecc. e di riprendere in modi approfonditi una riflessione più generale e fondamentale sui rapporti che questi termini possono intrattenere con la nuova situazione della città e del territorio europei. Essa non può partire oggi da una "previsione", nessuna variabile nel mondo pertinente e rilevante trascina in modo stabile le altre consentendo di vedere prima ciò che accadrà poi; nessuna politica può essere tanto forte da non consentire esiti molteplici ed alternativi. La riflessione deve partire da un punto diverso. 
Gran parte delle politiche del welfare state ha avuto la città come proprio campo di applicazione. Come nel secolo diciannovesimo la città era stata il grande dispositivo di costruzione del lavoratore industriale e, per estensione analogica, di ogni tipo di rapporto di lavoro, così nei primi decenni dell'ultimo dopoguerra, nei "trenta gloriosi", la città è stata il principale dispositivo entro il quale lo stato sociale ha potuto essere costruito. Non sarebbe ozioso interrogarsi su quanta parte le politiche del welfare state abbiano avuto, via il miglioramento del capitale umano e delle condizioni di riproduzione della forza lavoro, nel prodigioso aumento della produttività oraria del lavoro disponibile totale sino agli anni '70. In modo analogo sarebbe interessante cercare di capire quanto il progressivo venir meno delle sicurezze garantite dallo stato sociale, il venir meno, grazie alla flessibilità, di specifiche competenze e motivazioni tra molti lavoratori temporanei, l'aumento della disoccupazione di giovani ed anziani, le peggiorate condizioni ambientali di molte parti della città europea, stiano agendo oggi sulla produttività del lavoro disponibile totale. Probabilmente negli anni recenti essa è seriamente diminuita ed è per questo che dico che i più elevati tassi di crescita economica aggregata, di aumento dei livelli di benessere collettivo e di democrazia saranno propri, in un futuro non lontano, dei paesi e delle regioni europei che avranno saputo affrontare e correttamente risolvere i problemi della città e del territorio.

6. Il welfare state non può però più essere ricostruito sulle vecchie basi, soprattutto non può più essere affidato ad un insieme di trasferimenti monetari verso grandi aggregati di popolazione ed alle loro complicate procedure. I connotati del lavoro, degli insediamenti, degli stili di vita non consentono più di ragionare per grandi aggregati sociali e spaziali. Se si vuole ricostruire qualcosa che abbia le stesse conseguenze sul piano della produttività globale delle risorse disponibili e del lavoro in primo luogo, quindi dei redditi e dei livelli di benessere, occorre tornare a pensare in termini reali e non monetari, in termini fisici e non virtuali, in termini di concreti progetti e non di postazioni di bilancio e ciò non è facilmente compatibile con i modelli di comportamento di burocrazie tenute ad agire sulla base di criteri trasparenti e validi erga omnes o quasi. Negli anni recenti l'attenzione è stata eccessivamente concentrata sugli aspetti contabili di ogni politica. L'obiettivo principale ed esclusivo di ogni amministrazione è divenuto il risanamento del proprio bilancio, come se questa pur importante azione non potesse essere svolta agendo contemporaneamente in modi più attenti alle dinamiche reali della società, dell'economia e della città. Progetto è diventato negli anni recenti termine vago, retorico e coprente, etichetta di un particolare genere letterario più che di una concreta attività tecnica. Ne è conseguita una incapacità generalizzata, fatte salve alcune poche eccezioni, sia di affrontare i temi della prossimità, sia quelli più generali e di lungo periodo. Il progetto della città e del territorio, concepito ancora una volta, anche se in modi diversi dal passato, come comprehensive, preciso nelle sue linee concettuali quanto nei dettagli, aperto e disponibile alle revoche parziali o totali, in una continua oscillazione tra i temi proposti dalle politiche di prossimità e dall'articolazione dettata dalle differenti situazioni e scenari distesi nel lungo periodo, diviene oggi forse l'unica possibilità di costruzione di una nuova politica riformista che insieme garantisca più elevati tassi di crescita economica aggregata, di aumento dei livelli di benessere collettivo e di democrazia.